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 l'industria dell' olocausto

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buenaventura
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buenaventura


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Date d'inscription : 17/02/2005

l'industria dell' olocausto Empty
MessageSujet: l'industria dell' olocausto   l'industria dell' olocausto EmptyJeu 17 Nov - 13:49

L'INDUSTRIA DELL' OLOCAUSTO SBARCA ALL'UNIVERSITA'
DELL'
ILLINOIS

Linciaggio morale al campus


DI DAVID GREEN




Nel suo libro del 2000, The Holocaust Industry: Reflections on the
Exploitation of Jewish Suffering [ed. it. L'Industria dell'Olocausto.
Lo
Sfruttamento della Sofferenza degli Ebrei, Rizzoli 2002] il critico e
studioso Norman Finkelstein affrontava in modo convincente tre
argomenti
generali. Primo, a partire dalla guerra del 1967 e dall'alleanza
militare
tra Israele e gli Stati Uniti, l'olocausto nazista (un evento storico)
è
diventato l'Olocausto, un'angusta e ideologizzata interpretazione
sionista
di quel genocidio, che è stata utilizzata per giustificare le scelte
politiche di Israele e Stati Uniti, e per allargare la presenza delle
elite
ebraico-americane nei palazzi del potere. Secondo, anche in questo caso
dal
1967, separatamente dagli studi storici accreditati si è sviluppata una
letteratura dell'Olocausto, priva di valore scientifico e spesso
fraudolenta.
La letteratura dell'Olocausto, in special modo quella di Eli Wiesel, ha
diffuso le speciose nozioni sulla "unicità" dell'Olocausto e sulla
natura
eterna dell'antisemitismo, entrambe utilizzate per mettere a tacere le
critiche verso Israele. Terzo, Finkelstein esaminava minuziosamente le
prove
di una "doppia estorsione", avvenuta nei tardi anni 90, nella quale sia
i
sopravvissuti all'olocausto nazista sia i governi europei (in primo
luogo
quello svizzero) furono sfruttati da organizzazioni ebraiche in cerca
di
esorbitanti quantità di indenizzi monetari, secondo criteri che
eccedevano
vistosamente quelli applicati sia dagli USA sia da Israele nei
confronti dei
depositi bancari dei sopravvissuti.

In genere i principali media ignorano i libri di Finkelstein, ma in
questo
caso il New York Times ritenne opportuna una replica, affidando il
vetriolo
allo storico dell'olocausto Omer Bartov (Brown Universitiy). La
recensione
di Bartov (dell'8 giugno 2000) è poco più di un esplicito attacco ad
hominem
che include qualche citazione fuori contesto del libro, e non affronta
seriamente nessuna delle importanti questioni che ho citato più sopra.
La
recensione comincia con una nota particolarmente aspra:

Il soggetto principale dell'Industria dell'Olocausto si basa sulla
semplice
distinzione tra due fenomeni: l'Olocausto nazista e "L'Olocausto," che
viene
definito come "una rappresentazione ideologica dell'olocausto nazista."
Per
il primo dei due l'autore prova scarso interesse, per quanto sia pronto
a
riconoscere la sua realtà, dato che entrambi i suoi genitori sono
sopravvissuti ai suoi orrori, e dato che alcuni dei pochi storici che
rispetta, in particolare Raul Hilberg, ne hanno scritto.

In realtà, Bartov sa benissimo che Finkelstein coltiva da lungo tempo
un
interesse storico per l'olocausto nazista, come dimostra la sua estesa
critica al libro di Daniel Goldhagen Hitler's Willing Executioner [ed.
it. I
Volenterosi Carnefici di Hitler, Mondadori 1997], che Bartov loda nella
prima riga della sua recensione come "brillante dissezione". Nondimeno,
nel
perseguire il suo linciaggio morale, Bartov insinua che Finkelstein si
degni
di "riconoscere" che l'olocausto nazista sia avvenuto davvero.

Bartov prosegue con un paragrafo che si riferisce in modo selettivo a
ciò
che Finkelstein effettivamente ha scritto:

Ma in una delle bizzarre inversioni che caratterizzano il suo libro,
Finkelstein parla dell'evento storico con lo stesso tipo di reverente
timore, con la stessa invocazione di silenziosa incomprensibilità, che
ascrive al suo nemico principale, Eli Wiesel. Se si vuole "davvero
imparare
dall'olocausto nazista," sostiene, "bisogna ridurre le sue dimensioni
fisiche e allargare le sue dimensioni morali." Qualsiasi cosa si
intenda con
ciò, non sorprende affatto che la sua visione circa le origini, la
natura e
le implicazioni del genocidio degli ebrei, consista solo in asserzioni
vaghe, contraddittorie e non documentate. Così, ad esempio, a un certo
punto
scrive che "non esistono prove storiche di un impulso omicida
caratteristico
dei gentili," e respinge la nozione che ci possa essere stato un
"abbandono
degli ebrei" da parte del governo degli Stati Uniti. Ma altrove accusa
lo
United States Holocaust Memorial Museum di smorzare "il retroterra
cristiano
dell'antisemitismo europeo" e di minimizzare "le politiche
discriminatorie
delle quote di immigrazione statunitensi," per poi citare con
approvazione
il libro di David S. Wyman "L'Abbandono degli Ebrei."

In realtà, Finkelstein afferma chiaramente che le "dimensioni fisiche"
(musei e memoriali) dell'Olocausto funzionali alle presenti esigenze
ideologiche, devono essere ridotte, espandendo nel contempo le
dimensioni
morali dell'olocausto nazista; cioè, un genocidio tra i molti che hanno
caratterizzato il XX secolo, derivati in primo luogo dall'imperialismo,
militarismo e razzismo sia europei sia americani. C'è poco timore
reverenziale, qui, e Bartov (se vogliamo concedergli il beneficio del
dubbio) sta semplicemente fingendo di non capire le indicazioni di
Finkelstein. Per quel che riguarda le "asserzioni contraddittorie",
Bartov
costruisce la sua argomentazione citando Finkelstein in un modo
disonestamente decontestualizzato. L'argomentazione di Finkelstein
contro
"l'impulso omicida dei gentili" (pag. 49) si contrappone
all'argomentazione
di base di Goldhagen, relativa all'"antisemitismo eliminazionista,"
concetto
respinto anche da Bartov. Analogamente, Finkelstein respinge il
concetto
vago di un mondiale "abbandono degli ebrei", considerandolo a livello
generale un artefatto ideologico emerso, dopo la guerra del 1967, come
"uno
dei fondamenti della 'narrazione dell'Olocausto'"

D'altro canto, Finkelstein è molto chiaro nell'affermare che il Museo
dell'Olocausto di Washington minimizza il retroterra cristiano e le
quote
statunitensi (pag. 73), una critica fondata che non contraddice affatto
il
suo rifiuto di un "impulso omicida dei gentili". Questi commenti fanno
parte
della critica dettagliata alla natura politica del museo (e al fenomeno
dei
musei dell'Olocausto in generale), critica che Bartov ignora.
Analogamente,
le note polemiche di Finkelstein riguardo l'antisemitismo non sono
affatto
in contraddizione con la sua approvazione per il ben documentato lavoro
di
Wyman, riguardante la politica dell'amministrazione Roosvelt
sull'immigrazione ebraica, che si trova in tutt'altro capitolo (pag.
103).
In una nota a piè di pagina, Finkelstein conclude:

Un insieme di difficoltà economiche, xenofobia, antisemitismo e, in
seguito,
pretese ragioni di sicurezza, sono alla base delle quote restrittive
applicate da Stati Uniti e Svizzera. Ricordando "l'ipocrisia delle
dichiarazioni di altri stati, in particolare degli Stati Uniti, che non
mostrarono alcun interesse nella liberalizzazione delle loro leggi
sull'immigrazione," la Commissione Indipendente, pur criticando
aspramente
la Svizzera, rileva che la sua politica per i rifugiati era "simile a
quella
della maggior parte degli altri governi."

La conclusione di Bartov:

C'è qualcosa di triste in questa distorsione dell'intelligenza, in
questo
pervertimento dell'indignazione morale. E c'è anche qualcosa di
indecente,
qualcosa di puerile, ipocrita, arrogante e stupido. Quello che mi
colpisce
particolarmente nell'"Industria dell'Olocausto" è che si tratta della
copia
quasi perfetta delle argomentazioni che si propone di confutare. E'
ricolmo
precisamente di quel genere di iperboli stridenti che Finkelstein,
giustamente, rimprovera al sensazionalismo sull'Olocausto da parte di
molti
media; trabocca della stessa indifferenza nei confronti dei fatti
storici,
delle stesse contraddizioni interne, politica fuori luogo e dubbie
contestualizzazioni; e trasuda lo stesso compiaciuto senso di
superiorità
morale e intellettuale.

Bartov non fornisce alcuna prova a sostegno di queste accuse, perché
non ce
ne sono. Come sempre, il lavoro di Finkelstein è un modello di
chiarezza e
onestà scientifica, scrupolosamente argomentato e copiosamente
documentato,
e le sue provocatorie conclusioni sono corroborate dalla terribile
realtà
dei fatti. Ma Bartov si stava solo scaldando in vista del suo attacco
contro
Finkelstein, "irrazionale e insidioso" teorico cospirazionista,
un'accusa
che ha ripetuto durante la sua visita presso la University of Illinois,
nel
settembre del 2004. L'astio di Bartov tradisce non solo la sua venalità
e la
tendenza alla proiezione patologica, ma anche la sua subordinazione
alle
esigenze dell'Industria dell'Olocausto. Questo è stato reso
particolarmente
evidente dai suoi sforzi per prestare le sue credenziali accademiche a
sostegno della realtà della minaccia di un "nuovo antisemitismo", nella
pubblicazione sionista The New Republic di Martin Peretz.

Bartov ha visitato la University of Illinois in veste di illustre
conferenziere Millercom, e ha tenuto una monotona e abbondantemente
indecifrabile conferenza, in stile Industria dell'Olocausto,
riguardante
l'antisemitismo presente in film sconosciuti, davanti a un pubblico
intorpidito e sconcertato, composto perlopiù da ebrei anziani, i più
fortunati dei quali un po' duri d'orecchio. Ma il piatto forte è stato
servito quando ha parlato all'Illinois Program for Research in the
Humanities [Programma dell'Illinois per gli Studi Umanistici],
descrivendo
la minaccia per gli ebrei rappresentata dal mondo islamico, citando la
sua
retorica antisemita. Bartov ha ottusamente sostenuto le sue
argomentazioni
con la bellezza di tre citazioni aneddotiche, in una discussione
rimarchevole per la mancanza di una seria preparazione di entrambi i
partecipanti (tutti e due ebrei), con nessun musulmano invitato a
parlare,
come sarebbe stato coerente con la storia recente del Programma.

Non è sorprendente constatare quanto lo stesso Bartov abbia una mente
fertile per quel genere di retorica. Nella recensione all'"Hitler's
Second
Book" (2 febbraio 2004) (1) su The New Republic, Bartov scrive: "Nei
campus
americani trovano sempre più spazio le proteste anti-israeliane,
proteste
che manifestano tendenze preoccupanti. Un gruppo che si autodefinisce
'Solidali del New Jersey: Attivisti per la Distruzione di Israele' ha
annunciato una 'festa dell'odio per Israele' da tenersi nel campus
della
Rutgers University, a New Brunswick, nell'ottobre del 2003."
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MessageSujet: ..   l'industria dell' olocausto EmptyJeu 17 Nov - 13:50

La verità, naturalmente, è che il gruppo si chiama semplicemente
Solidali
del New Jersey (2), e che la conferenza non era stata affatto
pubblicizzata
come una "festa dell'odio", ma come promozione della solidarietà con i
palestinesi e contro gli investimenti in società che fanno affari con
Israele; la conferenza, nel recente passato, si è svolta su base
annuale in
vari campus universitari. Bartov (seguendo la tendenza alla
contraffazione
di Elie Wiesel, Jerzy Kosinski, Binjamin Wilkomirski, e altri di cui
Finkelstein parla nel suo libro, ma che Bartov nella sua recensione
dimentica) ha inventato espressioni come "Attivisti per la Distruzione
di
Israele" e "festa dell'odio per Israele" di sana pianta. Un accusa del
genere non solo è diffamatoria, ma, come sanno tutti, del tutto
inverosimile
in qualsiasi campus universitario o anche nel contesto del nostrano
movimento per i diritti dei palestinesi. Naturalmente, la retorica di
Bartov
fa parte di una più vasta campagna di diffamazione dei critici di
Israele
nell'ambiente universitario, tramite l'accusa di antisemitismo, una
campagna
sostenuta localmente dalla Champaign-Urbana Jewish Federation (3).

Nello stesso articolo su The New Republic Bartov conclude:

Poiché uno degli aspetti più inquietanti del libro di Hitler non è dato
dalle cose che diceva a suo tempo, ma dal fatto che le cose che diceva
si
possono trovare oggi un po' dappertutto: in siti internet, opuscoli
propagandistici, discorsi politici, cartelli di protesta, pubblicazioni
accademiche, sermoni religiosi, eccetera. Finché non verranno associate
al
nome di Hitler, queste insane argomentazioni saranno ignorate o
permesse. Le
voci che sostengono simili opinioni non appartengono a una singola
ideologia
o corrente politica, e sono più difficili da individuare ora che negli
anni
30. Appartengono alla destra e alla sinistra, all'ovest e all'est, alla
marmaglia e ai leader, a terroristi e intellettuali, studenti e
contadini,
pacifisti e militanti, espansionisti e attivisti anti-globalizzazione.
Il
tipo di diplomazia patrocinato da Hitler non ha più corso, ma le
ragioni che
la sostenevano, la sua "visione del mondo", sono ancora vive e vegete,
e
possono ancora colpirci.

Con questa isterica esplosione da Industria dell'Olocausto, Bartov
riesce
non solo a dissipare quel poco che restava della propria credibilità,
ma
mette in questione anche quella delle tre istituzioni della University
of
Illinois che lo hanno invitato: The Center for Advanced Study, il
Program
for Jewish Culture and Society, e l'Illinois Program for Research in
the
Humanities, il secondo guidato dal presidente della Jewish Federation,
l'ultimo guidato da un membro della facoltà del PJCS. Sfortunatamente,
la
visita di Bartov riflette le pecche fondamentali di tutti e tre i
programmi:
l'ingenuità e l'ottusità accademica del CAS, le propensioni sioniste e
all'esoterismo ebraico del PJCS, e l'angusta interpretazione del
concetto di
"studi umanistici" da parte dell'IPRH, che esclude quelli palestinesi.
Tutto
questo è parte dell'ambiente in cui la Jewish Federation, ospite
dell'Hillel
(4), si è fatta carico di calunniare gli studenti musulmani che
scrivono per
il Daily Illini (5) articoli critici verso Israele, di appoggiare le
visite
del razzista Daniel Pipes e di una sfilata di propagandisti del governo
israeliano, tra i quali l'ex amministratore militare di Hebron
occupata, in
pratica un criminale.

La nostra locale Industria dell'Olocausto lavora per reagire, sul piano
ideologico e personale, contro ogni discussione accademica e razionale
sul
comportamento criminale di Israele che possa emergere in questo campus,
per
stabilire limiti rigidi e arbitrari per tali discussioni, e in
definitiva
per mettere in discussione le motivazioni dei critici di Israele.
Finora,
grazie agli sforzi di accademici e compari come Omer Bartov, i
risultati ci
sono. Ma la natura delle visite di Bartov deve anche ricordarci che la
locale Industria dell'Olocausto non fa nulla per educare la comunità a
una
ricerca accademica credibile che si interessi della storia politica ed
economica dell'ascesa al potere dei nazisti (includendo il sostegno
dell'occidente), e ostacola gli appropriati paralleli che potrebbero
essere
fatti con la disumanità istituzionalizzata delle occupazioni israeliana
e
americana nel Medio Oriente.

L'ossessione dei lavoratori del'Industria dell'Olocausto per l'asserita
unicità della disumanità nazista li ha condotti a svalutare la
disumanità
caratteristica di ogni esercito i cui soldati sono cresciuti in culture
razziste, desensibilizzati alla violenza inerente alle culture militari
in
tempi di guerra e occupazione. Sebbene ci sia una lunga strada da Abu
Ghraib
ad Auschwitz, la strada dal West Virginia ad Abu Ghraib è altrettanto
lunga.
Ma le torture americane e israeliane vengono razionalizzate, e le loro
radici culturali e istituzionali accantonate. Il maggiore testimonial
di
questa mentalità, con accluse accuse di antisemitismo ai malvagi
critici di
Israele, è naturalmente Alan Dershowitz, col suo (notevolmente sciatto)
libro The Case for Israel. Nel suo prossimo lavoro, Beyond Chutzpah: On
the
Misuse of Anti-Semitism and the Abuse of History, Finkelstein
analizzerà tra
le altre cose i record di Israele nella violazione dei diritti umani,
violazioni negate da Dershowitz e ignorate dai locali leader ebrei ed
accademici, caparbiamente attaccati alla loro credenza nello "splendido
Israele", contro ogni schiacciante evidenza del contrario.

David Green vive a Urbana, Illinois.
Fonte:www.counterpunch.org
Link:http://www.counterpunch.org/green03192005.html
19/20.03.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D'AMICO

Note del traduttore:

(1) Il cosiddetto "secondo libro di Hitler" è una sorta di
continuazione del
Mein Kampf, scritta nel 1928 e per svariate ragioni mai pubblicata.
Rintracciato nel '58 negli archivi statunitensi, fu pubblicato nel '61
in
tedesco e in inglese. La recensione di Bartov riguarda una nuova
traduzione
fatta nel 2003 dalla casa editrice Enigma. In Italia esiste una
edizione
Longanesi degli anni 60.

(2) In effetti il gruppo New Jersey Solidarity (come potrete verificare
sul
suo sito: http://www.newjerseysolidarity.org/) riporta una dicitura,
accanto
alla denominazione principale, che dice "Attivisti per la Liberazione
della
Palestina", non "Attivisti per la Distruzione di Israele".

(3) Si tratta di una private charity, un'organizzazione non profit per
l'assistenza agli ebrei poveri e per la promozione dei valori
comunitari
ebraici.

(4) E' l'organizzazione che si occupa degli studenti ebrei.

(5) Giornale universitario della University of Illinois.

------------

(http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&si
d=899)

************

FORUM ONLINE

Messaggio


Lo storico americano Norman Finkelstein autore del libro "The Holocaust
Industry" sta creando un nuovo furore. Molte sono le proteste negli US
contro la publicazione del suo nuovo libro "Beyond Chutzpah. On the
Misuse
of Anti-Semitism and The Abuse of History". Tutta la furia sionista si
scatena contro Finkelstein:

"BISOGNA CHE IL LIBRO NON SIA PUBBLICATO"

Il libro è aspettato con moltissimo interesse. Noam Chomsky dichiara
che il
libro è molto solido, importante e informativo.

Il deus ex machina contro la publicazione è Alan Dershowitz che
vergognosamente ha chiamato Finkelstein, figlio di sopravissuti
dell'olocausto, "nazista".
Il pacifista
teeger05@yahoo.com
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